In Egitto, è polemica per la proposta di legge sullo statuto personale, approvata dal governo egiziano lo scorso gennaio e ora in discussione alla Commissione parlamentare congiunta per gli affari costituzionali e legislativi. Si teme una drastica limitazione dei diritti fondamentali delle donne egiziane in tema di matrimonio, divorzio e tutela dei figli.
In un videomessaggio diffuso sui social media, Nehad Abu El Khomsan, che presiede il Centro egiziano per i diritti delle donne (Egyptian Center for Women’s Rights – ECWR), ha espresso il suo aperto dissenso nei confronti del recente provvedimento adottato dall’esecutivo egiziano in tema di statuto personale. La proposta di legge è stata duramente criticata sia nella forma che nel contenuto, considerato arcaico, conservatore, patriarcale e repressivo. All’inizio del suo intervento, Nehad fa appello al presidente egiziano Al-Sisi affinché la proposta di legge venga ritirata e non sia convertita in legge.
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Una proposta di legge patriarcale e discriminatoria
Secondo la suddetta proposta di legge, resa pubblica lo scorso 23 febbraio, le donne egiziane, private della personalità e della capacità giuridica, non avrebbero più diritto a firmare l’atto di matrimonio; sottoscrivere l’atto spetterebbe quindi al tutore maschio della donna (walī), anche se più giovane di lei.
Inoltre, se la proposta di legge venisse approvata, alla donna non sarebbe più riconosciuto il diritto a scegliere il proprio sposo in maniera libera, poiché autorizzerebbe qualsiasi membro maschile della sua famiglia ad annullare l’atto di matrimonio previa motivazione.
Le donne, inoltre, non sarebbero più autorizzate a registrare la nascita del proprio figlio, a gestirne le questioni economiche e finanziarie, a chiedere il rilascio del passaporto o documento di identità del minore; in caso di disaccordo con il marito, le sarebbe preclusa la possibilità sia di scegliere il tipo e il livello di istruzione a cui sottoporre il figlio e non potrebbe difenderlo in caso di controversie giudiziarie. Per quanto riguarda la custodia dei figli, solo il padre ne avrebbe esclusivo diritto privando la madre e le nonne di qualsiasi diritto in materia.
Secondo presunti principi sharaitici derivanti dalla dottrina islamica hanafita, le donne, a differenza degli uomini, non potrebbero più viaggiare (da sole o con i figli) all’estero, per improrogabili motivi di lavoro o per svago, senza il consenso del marito ovvero dei membri maschi della sua famiglia.
A rischio la dignità della donna
La proposta di legge non si è preoccupata di affrontare temi importanti relativi alle più comuni controversie legali familiari, quali il diritto agli alimenti spettanti ai figli in caso di divorzio; il problema della poligamia, che ha portato al dissolvimento di numerose famiglie egiziane; e il trasferimento di beni mobili tra i coniugi in caso di disputa post-divorzio.
La donna, considerata essenzialmente per la sua funzione biologico-riproduttiva, come una sorta di “macchina sforna bambini”, perderebbe quindi ogni legittimità sul piano legale, economico e sociale, condannandola all’emarginazione su tutti i fronti.
In realtà, le donne egiziane già subiscono discriminazioni per quanto riguarda l’accesso al divorzio, alla custodia dei figli e in materia di diritto ereditario, perché le leggi sullo statuto personale sono in parte ispirate a norme religiose risalenti agli anni Venti del secolo scorso.
Prima di allora, le donne non avevano nemmeno diritto a chiedere il divorzio; tuttavia, la proposta di riforma dello statuto personale di Muhammad Abdu, avanzata nel 1920, nel periodo del riformismo islamico in Egitto, risulta in ogni caso più progressista di quella attuale.
La proposta del giurista Abdu era coerente con quel periodo storico e si fondava su diverse interpretazioni della Sharia. Tutelava la donna, a cui era riconosciuta piena cittadinanza al pari dell’uomo, e regolamentava il divorzio e la poligamia, da sottoporre all’autorità giudiziaria in caso di controversie legali.
La nuova proposta di legge sembra invece lontana dalla realtà contemporanea, in cui gran parte delle donne egiziane lavorano e contribuiscono alle spese domestiche e a mantenere economicamente gli eventuali figli minori, possono diventare ministri e sono in grado di siglare accordi economici del valore pari a milioni di dollari. Pertanto, sarebbe assurdo e anacronistico non autorizzarle a sottoscrivere, ad esempio, il proprio contratto di matrimonio.
Se la legge venisse approvata in Parlamento, le donne egiziane si troverebbero a lottare contro crescenti ingiustizie non solo nel contesto familiare, ma anche in tutti gli ambiti della vita pubblica.
Fonti: ECWR/TRT World/Egyptian Streets
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