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Fukushima, il dossier che smaschera il governo sui livelli di radiazioni: sono troppo alte per tornare a casa

Non sono bastati 10 anni per decontaminare la zona colpita dall’incidente nucleare di Fukushima Daiichi. Ancora oggi l’’85% della cosiddetta “Area Speciale” risulta ancora contaminato. Eppure il Governo giapponese rassicura e invita gli abitanti a ritornare nelle proprie case. Come si può far credere che tutto sia tornato alla normalità? Si tratta di un tentativo maldestro per mostrare al mondo che il Giappone abbia risolto l’imponente crisi, alla vigilia delle Olimpiadi?

I dubbi sono tanti, ma resta il fatto che a 10 anni da quel terribile 11 marzo 2011, gli abitanti di Fukushima stanno pagando un prezzo altissimo. Già 15 giorni dopo il disastro nucleare, il 26 marzo 2011, un team di esperti in radiazioni di Greenpeace sbarcò a Fukushima. Da allora sono state condotte 32 indagini sulle conseguenze radiologiche del disastro, l’ultima proprio di recente, a novembre del 2020. E i risultati sono a dir poco allarmanti: l’85%dell’area speciale presenta livelli di radiazioni alte e pericolose per la salute umana. E molte delle città coinvolte puntano a essere ripopolate dalle autorità giapponesi. Il nuovo dossier dal titolo “Fukushima 2011-2020” racconta una storia terribile, quella in cui la salute dei cittadini è all’ultimo posto mentre il

“governo del Giappone, in gran parte sotto la guida di Shinzo Abe, ha tentato di ingannare il giapponesi travisando l’efficacia del programma di decontaminazione e i rischi sulla radioattività di Fukushima”

accusa Greenpeace che ha esaminato i livelli di radiazioni in alcune città della prefettura di Fukushima. I risultati delle indagini hanno evidenziato da una parte che gli sforzi di decontaminazione sono stati limitati, dall’altra che l’85% dell’Area Speciale di Decontaminazione è ancora contaminata. In particolare, la maggior parte degli 840 chilometri quadrati della Special Decontamination Area (SDA), per cui il governo è responsabile della decontaminazione, rimane fin troppo ricca di cesio radioattivo. Di conseguenza, solo il 15% è stato ripulito. Un altro aspetto gravissimo emerso dallo studio è che i tempi entro cui il livello di decontaminazione a lungo termine del governo giapponese – di 0,23 microsievert per ora (μSv/h) – sarà raggiunto sono ancora indefiniti.

© Christian Åslund / Greenpeace

A farne le spese, come spesso accade in questi casi, sono gli abitanti della zona che resteranno esposti, forse anche per decenni, a radiazioni superiori alla soglia massima raccomandata di 1 millisievert all’anno. Se è vero che alcune zone sono ancora disabitate, altre come Namie e Iitate hanno avuto la revoca degli ordini di evacuazione nel 2017 quindi già da 3 anni, chi ha voluto, è tornato a vivere lì. E in molti casi è stato costretto a farlo, non avendo altra scelta.

Come rivela la capillare analisi dell’associazione, in molte città della prefettura di Fukushima la contaminazione è diffusa ed è tuttora una minaccia reale per la salute umana a lungo termine e l’ambiente. Le aree contaminate comprendono campi di riso e altri terreni agricoli, oltre a una grande area forestale. Molte persone che vivevano in queste zone erano impiegate come agricoltori o nella silvicoltura. I residenti raccoglievano legna, funghi, frutti di bosco e verdure della foreste di montagna e i bambini erano liberi di giocare all’aperto nei boschi e nei ruscelli. Dal momento del disastro, decine di migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case, la loro vita.

©Greenpeace

E il Governo ha messo la popolazione davanti a una scelta: tornare nelle case contaminate col supporto di aiuti di stato o abbandonarle e stabilirsi altrove senza un adeguato compenso.

“Ciò equivale a una coercizione economica e può costringere le famiglie a tornare contro la loro volontà a causa della mancanza di risorse finanziarie e alternative praticabili” prosegue Greenpeace.

Nonostante il programma di decontaminazione, l’analisi del dati del governo mostrano che nella SDA solo iel 15% risulta ripulito e vivibile. Nel caso di Namie, ad esempio, dei 22.314 ettari che compongono il comune, solo 2.140 ettari sono stati decontaminati – solo il 10% di il totale.

©Greenpeace

Uno dei motivi principali è che gran parte della prefettura di Fukushima è una foresta difficile da decontaminare. Secondo Greenpeace, il governo giapponese sta continuando a ignorare in gran parte i potenziali rischi dello stronzio 90 di e altri radionuclidi nella prefettura di Fukushima.

Violazioni dei diritti umani

Purtroppo, oggi, nonostante siano passati 10 anni e nonostante i tentativi di far credere che tutto stia tornando alla normalità, la situazione è difficilissima. Il Governo sta continuando a revocare gli ordini di evacuazione nelle aree in cui le radiazioni rimangono al di sopra dei limiti di sicurezza, esponendo potenzialmente la popolazione a un aumento del rischio di cancro.

Uomini, donne, bambini, a queste condizioni non possono tornare nelle loro case, ancora gravemente contaminate. Ciò potrebbe mettere a repentaglio la loro vita. per Greenpeace si tratta di una vera e propria violazione dei diritti umani. Per questo l’associazione ha invitato il governo ad abbandonare i piani di revoca degli ordini di evacuazione nei sei comuni di Futaba, Okuma, Namie, Tomioka, Iitate e Katsurao, compresi i distretti di Namie, Tsushima, Murohara, Suenomori e Obori. Occorre

“fornire piena compensazione e supporto finanziario agli sfollati e consentire ai cittadini di decidere se ritornare o trasferirsi sulla base di prove scientifiche, liberi da costrizioni e coercizioni finanziarie”.

©Greenpeace

Quel lento decommissioning…

Un secondo rapporto, “Decommissioning of the Fukushima Daiichi Nuclear Power Station From Plan-A to Plan-B Now, from Plan-B to Plan-C”, si è soffermato invece sul piano di smantellamento del nucleare in 30-40 anni, definendolo “un programma deludente e senza prospettive di successo”.

“I governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni, soprattutto quelli guidati dal primo ministro Shinzo Abe, hanno cercato di ingannare il popolo giapponese, mistificando l’efficacia del programma di decontaminazione e ignorando i rischi radiologici”, ha detto Shaun Burnie, Senior Nuclear Specialist di Greenpeace East Asia.”Allo stesso tempo, continuano a sostenere che il sito di Fukushima Daiichi può essere riportato allo stato originario di cosiddetto “greenfield” entro la metà del secolo. Il decennio di inganni da parte del governo e della TEPCO deve finire. Un nuovo piano di smantellamento è inevitabile, non possiamo perdere altro tempo e continuare a negare la realtà”.

Purtroppo le criticità e i limiti sono ben noti. Non si sa ancora come e quando verranno recuperate le centinaia di tonnellate di detriti di combustibile nucleare che rimangono ancora all’interno e sotto i tre contenitori a pressione del reattore. Un altro grande problema riguarda l’acqua usata per il raffreddamento dei reattori, le acque sotterranee e quelle successivamente accumulate nei serbatoi, che come abbiamo già raccontato, continueranno ad aumentare. Si dovrà comunque trovare una soluzione entro l’estate 2022.

“Per prevenire l’ulteriore aumento di contaminazione radioattiva delle acque, il raffreddamento dei detriti di combustibile nucleare dovrebbe passare dall’acqua al raffreddamento ad aria, e il sito di Fukushima Daiichi dovrebbe essere isolato dalle acque sotterranee – diventando una “dry island” – con la costruzione di un profondo fossato” suggerisce Greenpeace.

Ma non è finita. Tutto il materiale nucleare contaminato dovrebbe rimanere sul sito a tempo indeterminato. Quindi Fukushima Daiichi è già e dovrebbe rimanere un sito di stoccaggio di rifiuti nucleari a lungo termine.

“Il piano attuale è irraggiungibile nell’arco di tempo di 30-40 anni definito dall’attuale tabella di marcia. È inoltre impossibile da realizzare se l’obiettivo è il ritorno allo status di greenfield. Greenpeace raccomanda un fondamentale ripensamento nell’approccio e un nuovo piano per lo smantellamento del sito di Fukushima Daiichi, inclusa una revisione dei tempi di rimozione del combustibile fuso a 50-100 anni o più, con la costruzione di edifici di contenimento sicuri per il lungo termine” è l’appello dell’associazione.

Sono passati 10 anni, sì, ma la situazione è tutt’altro che rassicurante.

Fonti di riferimento: Greenpeace

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da greenme

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