Anni di lotte civili e femministe sono riusciti a cambiare un po’ di cose e una serie di leggi, in Italia, hanno cambiato la vita delle donne.
Hanno lottato, urlato i propri diritti e manifestato, hanno vinto pregiudizi, oltrepassato fessure piccole piccole e muri alti fino al cielo. Le donne, quante ne hanno passate le donne. E se brucia come una ferita la convinzione che un mucchio di roba c’è ancora da fare per raggiungere quella parità che, signori miei, io non vedo, allora questa giornata internazionale della donna viviamola non come una festa ma come una celebrazione per le donne che quel po’ di uguaglianza l’hanno ottenuta. E andiamo oltre.
Se un tempo, in Italia, le donne venivano condannate per tradimento – l’adulterio femminile fino al 1968 era reato – nel corso dei decenni, vivaddio, qualcosa si è mosso sul fronte femminile e sono state varate leggi che hanno cambiato la vita delle donne italiane.
Ovvio? Non tanto, se si considera che abbiamo aspettato il 2011 per avere “quote rosa” nei consigli di amministrazione e che soltanto nel 2013 – 5 anni fa – è passata la legge contro il femminicidio e la violenza sulle donne.
Quali sono allora le leggi approvate in Italia a favore delle donne? Eccone 10 (più altre fondamentali misure):
Diritto di voto attivo e passivo (1945 e 1946)
Nel 1945 il passa un decreto che consentirà alle donne di almeno 21 anni (maggiorenni) di votare alle elezioni politiche. L’anno dopo viene concesso anche il “voto passivo”, cioè anche le donne (maggiori di 25 anni) possono presentarsi alle elezioni ed essere votate.
Il 2 giugno del 1946 le donne voteranno al Referendum istituzionale (monarchia/repubblica) e per le elezioni dell’Assemblea costituente, ma già nelle elezioni amministrative precedenti avevano votato risultando in numero discreto elette nei consigli comunali. Sui banchi dell’Assemblea costituente comparvero le prime parlamentari: nove della DC, nove del PCI, due del PSIUP e una dell’Uomo qualunque.
Accesso agli impieghi pubblici (1963)
Nel 1947 l’Assemblea Costituente cominciò ad avanzare l’ipotesi di dover decidere se riconoscere o meno alle donne il diritto di svolgere, tra le altre, l’attività di magistrati. Leggete qui, uno dei tanti pregiudizi dell’epoca proferito dall’allora deputato Antonio Romano:
“La donna deve rimanere la regina della casa, più si allontana dalla famiglia più questa si sgretola. Con tutto il rispetto per la capacità intellettiva della donna, ho l’impressione che essa non sia indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio e alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche. Questa è la mia opinione, le donne devono stare a casa”
Soltanto nel 1963, con la legge n. 66, il parlamento italiano ammette la donna “ai pubblici uffici ed alle professioni” con soli due articoli. Articolo 1: “La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura”. Ovvio che, però, le donne da allora dovettero aspettare il primo concorso: lo superarono 8 donne su 5647 partecipanti (0,14%).
Allo stato attuale, su circa 8678 magistrati più di 4mila sono donne, per una percentuale pari a circa il 46% e il trend vede le donne vincitrici di concorso in numero di gran lunga superiore a quello degli uomini (Fonte)
Divorzio (1970)
Insieme con Paesi come Spagna, Portogallo, Repubblica d’Irlanda e Malta, anche in Italia viene concesso e regolamentato lo scioglimento del matrimonio. L’iter giuridico era di 5 anni, ridotti a 3 nel 1987.
Il divorzio venne introdotto a livello legale (e alla sua approvazione è legato anche il nome di Nilde Iotti) il primo dicembre 1970, nonostante l’opposizione della Democrazia Cristiana. Per questo motivo, qualche anno dopo un movimento politico promosse un referendum abrogativo proprio per far abrogare la legge sul divorzio.
Ma nel 1974 quello stesso referendum affermò la volontà della maggioranza della popolazione di mantenere la legge in vigore.
“Noi sosteniamo il divorzio perché riteniamo che questo istituto trovi rispondenza nella mutata coscienza morale dei cittadini italiani e nella mutata natura della famiglia. Vedete, onorevoli colleghi: per quanto siano forti i sentimenti che uniscono un uomo e una donna – in ogni tempo, ma soprattutto, direi, nel mondo di oggi – essi possono anche mutare; e quando non esistono più i sentimenti, non esiste neppure più, per le ragioni prima illustrate, il fondamento morale su cui si basa la vita familiare. Abbiamo dunque bisogno di ammettere la possibilità della separazione e dello scioglimento del matrimonio”, questo uno stralcio del bellissimo discorso parlamentare di Nilde Iotti nel 1969.
Riforma del diritto di famiglia (1975)
La legge del 1975, riformando il diritto di famiglia, stabilisce parità tra i coniugi e i coniugi diventano uguali davanti alla legge. Con essa verranno approvate: il passaggio dalla potestà del marito alla potestà (la cosiddetta “responsabilità genitoriale”) condivisa dei coniugi; l’eguaglianza tra coniugi (si passa dalla potestà maritale all’eguaglianza tra coniugi); regime patrimoniale della famiglia (separazione dei beni o comunione legale/convenzionale); revisione delle norme sulla separazione personale dei coniugi (il tradimento del marito può essere causa legittima di separazione). In più si abbassa l’acquisizione della maggiore età da 21 a 18 anni.
Aborto (1978)
Era il maggio del 1978 quando furono approvate le norme per la “tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, la famosa Legge 194 che ha disciplinato le modalità di accesso all’aborto.
La 194 consente alla donna, nei casi previsti dalla legge, di ricorrere alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi terapeutici.
Addio al delitto d’onore e al matrimonio riparatore (1981)
Fino agli anni ’80, il delitto d’onore era un tipo di reato caratterizzato dalla motivazione soggettiva di chi lo commetteva a salvaguardia una particolare forma di onore o di reputazione, con particolare riferimento a alcuni ambiti relazionali come i rapporti sessuali, matrimoniali o comunque di famiglia. In pratica, l’art. 587 del codice penale consentiva che fosse ridotta la pena a chi uccidesse la moglie (o il marito, nel caso a essere tradita fosse stata la donna), la figlia o la sorella solo per difendere “l’onor suo o della famiglia”.
Nel 1981 viene abrogata questa parte di legge.
Nello stesso anno viene abolito anche l’Istituto del matrimonio riparatore: uno stupratore poteva evitare la condanna se avesse sposato la sua vittima. Una pratica che voleva salvare “l’onore della famiglia” perché la violenza carnale era considerata un reato non contro la persona abusata ma contro la morale.
Sul matrimonio riparatore leggi la storia di Franca Viola, la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore:
Franca Viola, la donna che con il suo coraggio cambiò la società italiana
Parità sul lavoro (2010)
Con il decreto legislativo 5 del 25 gennaio 2010, si rafforza il diritto delle lavoratrici a percepire, a parità di condizioni, la stessa retribuzione dei colleghi maschi. In caso di condanna per comportamenti discriminatori, l’inottemperanza del datore di lavoro al decreto del giudice è punita con l’ammenda fino a 50mila euro o con l’arresto fino a sei mesi.
Le aziende vengono incentivate con sgravi fiscali a promuovere orari di lavoro flessibili; viene rivista la normativa vigente sul congedo parentale per incentivare il ritorno della donna in ufficio e sono introdotti incentivi per promuovere l’imprenditoria femminile, sanzioni contro le molestie sessuali e la disparità di trattamento sul lavoro
Quote rosa nei consigli di amministrazione (2011)
Con la legge 12 luglio 2011 n. 120 si introduce la disposizione in base alla quale gli statuti delle società quotate dovranno prevedere che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato su un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi, intendendosi tale equilibrio raggiunto quando il genere meno rappresentato all’interno dell’organo amministrativo ottenga almeno un terzo degli amministratori eletti. Questo criterio di riparto dovrà applicarsi per tre mandati consecutivi e varrà anche per le società soggette a controllo di pubbliche amministrazioni.
Stalking (2009) e violenza sulle donne (2013)
Nel 2009 con la legge n.38 contro lo stalking e con il suo inserimento nel codice penale dell’art. 612-bis (dopo il 612 che definisce la “minaccia”) tra i delitti contro la libertà morale, lo stalking – inteso come comportamento molesto, ossessivo, persecutorio – diventa reato.
Nel 2013 viene poi approvato il decreto legge contro il femminicidio e la violenza sulle donne, che prevede l’aumento di un terzo della pena se alla violenza assiste un minore, se la vittima è in gravidanza, se la violenza è commessa dal coniuge (anche se separato) e dal compagno (anche se non convivente) e prevede l’arresto obbligatorio in caso di maltrattamento e stalking in caso di flagranza.
Altre misure a favore delle donne:
Per le neo-mamme, nel 1950 viene approvata anche la legge che vieta il licenziamento fino al primo anno del bambino e introduce il trattamento economico dopo il parto. Nel 1956 c’è la legge sulla parità retributiva tra uomo e donna, nel 1963 si dichiarano nulle le cosiddette “clausole di nubilato” nei contratti di lavoro. Nel 1971 una legge istituisce la scuola materna e gli asili nido comunali; nel 1987 l’indennità di maternità per le lavoratrici autonome e per quelle disoccupate nel 1998.
Per approfondire ti potrebbe interessare il libro “Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia” della Fondazione Nilde Iotti edito da Ediesse.
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