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Nawal El Saadawi, l’attivista egiziana di 89 anni che lotta da una vita contro le mutilazioni genitali femminili

Nawal al-Saadawi (1931 – ) è l’emblema del femminismo arabo e della difesa dei diritti umani in Egitto. Scrittrice, psichiatra e militante femminista egiziana, a ottant’anni l’abbiamo ritrovata con i suoi capelli bianchi a Piazza Tahrir, nel cuore delle proteste durante la rivoluzione egiziana del gennaio 2011, che ha portato alla caduta di Hosni Mubarak.

Se c’è un’attività che abbia sostenuto la femminista egiziana nel corso degli anni trascorsi tra scuole di medicina, uffici governativi e carcere, questa non potrebbe essere che la scrittura. Prolifica intellettuale, ha prodotto testi di medicina, racconti brevi, romanzi, commedie, testi teatrali, memorie di prigione, appunti di viaggio e saggi critici.

Nawal al-Saadawi è nata a Kafr Tahla, in un povero villaggio rurale egiziano sul Delta del Nilo a nord del Cairo, nei pressi di Alessandria d’Egitto. Questa donna coraggiosa e ribelle, nella sua vita ha lottato (e ancora lotta) per i diritti delle donne, contro la mentalità patriarcale dominante — spesso nutrita da un’ideologia religiosa conservatrice e maschilista imperniata sul monoteismo — e contro l’oppressione delle donne in ogni sfera della vita pubblica e privata. I temi portanti della sua opera si possono sintetizzare nella volontà di enfatizzare i temi della scelta, della salute e della dignità di tutti gli individui, uomini e donne, pur mantenendo lo sguardo sempre rivolto alla questione femminile.

Contro il patriarcato

“Se provo a ricordare cosa è successo quando sono venuta al mondo, tutto quello che so è che sono nata donna. Sentivo dire che Dio crea il maschio e la femmina, e che, molto prima che nascessi, le neonate venivano sepolte vive. Poi, dall’alto, un verso discese nel Corano, e diceva così: ‘E se alla femmina sepolta viva si chiede per quale peccato sia stata uccisa…’. Fossi nata a quell’epoca sarei stata una di quelle neonate. Questo mi dicevano quando avevo quattro anni.”

La famiglia di Nawal era numerosa: era la seconda di nove figli, tra fratelli e sorelle. Suo padre, Al-Sayyid Effendi al-Saadawi, era un insegnante del Ministero dell’Istruzione egiziano che nel 1938 fu trasferito con la sua famiglia a Menouf, cittadina del Delta del Nilo. Sua madre, Zaynab Hanem Shukri, di origini borghesi e retroterra turco, era figlia del facoltoso Direttore Generale della Coscrizione Militare.

Con l’appoggio dei genitori ha frequentato una scuola elementare inglese e una scuola media del Cairo. Così Nawal ha proseguito gli studi con successo. Conseguita la laurea in Medicina all’Università del Cairo nel 1955, Nawal al-Saadawi ha fondato e diretto la rivista di medicina Health, e nel 1958 è stata nominata Direttore del Ministero della Sanità con delega all’assistenza per le donne. Dopo la pubblicazione di un testo medico dal titolo al-Mar’a wa al-ğins, (“La donna e il sesso”, 1968) fu immediatamente licenziata nell’agosto 1972.

Il testo censurato, considerato assai pericoloso per la morale pubblica, denuncia i tabù imposti dalla religione islamica alle donne e, in particolare, analizza il problema delle mutilazioni genitali femminili. La circoncisione femminile (asportazione del cappuccio della clitoride), la clitoridectomia (escissione della clitoride) e l’infibulazione (escissione della clitoride, asportazione delle piccole labbra e di parte delle grandi labbra, e cucitura della vulva) sono pratiche preislamiche praticate sia dai cristiani copti, che dai musulmani egiziani.

Bambine circoncise

A sei anni, prima dell’arrivo del menarca, Nawal stessa aveva subito la circoncisione femminile per mano della daya, la “donna del rasoio”. Ne racconta i dettagli in un romanzo autobiografico pubblicato in inglese e tradotto in italiano nel 2002 con il titolo Una figlia di Iside. Qui parla della sua infanzia e adolescenza, soffermandosi su quell’evento traumatico che ha lasciato ferite fisiche e psicologiche permanenti in quella bambina, tracciando segni profondi e indelebili nella sua anima.

Nel remoto villaggio in cui è cresciuta le bambine erano costrette a sposarsi in tenera età, non andavano a scuola e venivano sacrificate sull’altare di una società dominata dai maschi. All’età di dieci anni, anche lei era scampata a un matrimonio combinato. Nel pensiero di al-Saadawi, gli organi genitali maschili diventano, storicamente, il simbolo del potere virile; al contrario, il potere femminile, incarnato dalla dea egizia Iside, non si serve della paura e della violenza, ma segue i principi dell’uguaglianza e della giustizia.

La pratica delle mutilazioni genitali femminili (MGF) è un’usanza ancora diffusa in Egitto, a causa di situazioni di arretratezza culturale, ignoranza, ed emarginazione sociale che minacciano in primis l’integrità corporea e sessuale della donna. Forme di violenza carnale, adulterio, crimini d’onore, assassinio, aborto clandestino, traffico e abuso sessuale, violenza domestica e mutilazione genitale femminile sono problemi seri, che affliggono ogni società del mondo. Una società non può progredire in assenza della liberazione e dell’emancipazione delle donne.

La MGF è una forma di violenza contro le donne che non è stata ancora pienamente criminalizzata in Egitto, nonostante negli ultimi anni siano stati fatti grandi passi avanti sul piano legislativo. Questa usanza affligge almeno 130 milioni di donne che vivono nella Valle del Nilo, nell’Africa occidentale e orientale, nell’area Sub-sahariana, come pure le donne beduine del Sinai, del Negev, della Giordania e dello Yemen.

Nonostante questo problema non interessi tutte le donne africane o arabe (infatti in alcuni paesi a maggioranza musulmana come la Turchia, il Libano e l’Algeria è raro parlare di MGF), gli Stati coinvolti non hanno ancora risposto alle richieste delle ONG internazionali di modificare il proprio codice penale nazionale e di condannare pubblicamente questa pratica, che crea innumerevoli disagi fisici e psicologici alle donne.

In Egitto, dove il 97% delle donne sposate ha subìto la circoncisione femminile, il Ministero della Salute ha deciso di medicalizzare la pratica, cioè essa si autorizza a determinate condizioni. In un ambiente sterilizzato, con personale specializzato ed assumendo antibiotici la MGF è considerata più sicura, meno rischiosa per la donna. Nel 1996 ci sono stati tentativi di bandire questa pratica con il decreto 261, ma la Corte di Cassazione egiziana ha deciso di reintrodurre la norma precedente.

In particolare, il caso della clitoridectomia ha suscitato accese discussioni tra le file delle femministe arabe più progressiste, poiché questa pratica nega alle donne il piacere, rafforza l’ideologia secondo la quale le donne siano impure ed esclude dal matrimonio le donne che decidono di non ricorrervi.

Scrittura, prigione, esilio

Nel 1981 al-Saadawi fu arrestata e gettata in prigione senza processo dal Presidente egiziano Anwar al-Sadat, insieme ad altri 1.600 intellettuali di sinistra che criticavano il governo. Un mese dopo Sadat fu assassinato e Hosni Mubarak, che gli era succeduto come Presidente, concesse loro la libertà. Quindi fondò The Arab Women’s Solidarity Association (AWSA) (Associazione di Solidarietà per le Donne Arabe), un’organizzazione internazionale che mirava a “togliere via il velo” dalla mente della donna araba.

In seguito ha insegnato all’Università del Cairo, sviluppando ricerche specialistiche sulle nevrosi femminili. Nel 1989 l’ONU le ha affidato la direzione dei programmi per le donne in Africa e in Medio Oriente. Nel giugno 1991, tuttavia, il governo egiziano ha emesso un decreto di sospensione delle attività dell’AWSA, che è stata costretta a chiudere i battenti. Sei mesi dopo la promulgazione del decreto, il governo fece chiudere anche la rivista Nūn, pubblicata dall’Associazione Internazionale di Solidarietà per le Donne Arabe, di cui lei era il capo-redattrice.

Nawal al-Saadawi in quel periodo era l’intellettuale donna più nota del mondo arabo. Dal 1988 al 1993 è stata costretta all’esilio negli Stati Uniti perché il suo nome figurava sulla lista nera di alcune organizzazioni di fanatici fondamentalisti islamici. Dopo la morte del laico intellettuale egiziano Farag Fuda nel 1992, Nawal cominciò a prendere sul serio le minacce di morte.

Il noto avvocato integralista Nabih al-Wahsh ha inviato al procuratore generale la richiesta di incriminazione di Nawal al-Saadawi, accusata di «derisione dell’Islam e ridicolizzazione dei suoi princìpi fondamentali», oltre ad aver chiesto al marito di Nawal, il medico e scrittore Sharif Hetata, di divorziare dalla moglie in quanto apostata. Da allora la coppia ha vissuto in esilio in Belgio.

Al procuratore generale era spettata la decisione di dare seguito alla querela per apostasia, dopo l’approvazione nel 1998 – per arginare le accuse contro gli intellettuali – di un emendamento alla legge, nota come ḥisba, che permetteva a chiunque di intentare causa per eresia. Nel 2001 al-Saadawi ha vinto il processo che l’avrebbe obbligata a lasciare il marito ed è ritornata nuovamente al Cairo. Nel 2004 l’Università Islamica di al-Azhar ha bandito il suo romanzo Suqūt al-Imām, come il successivo romanzo intitolato al-Riwāya (“Il romanzo”). L’8 dicembre 2004 si è presentata come candidata per le elezioni presidenziali in Egitto senza esito positivo. Anche le sue più recenti opere sono state duramente contestate dall’establishment del suo paese.

L’anziana ma infaticabile scrittrice segue ancora con ardore e passione la tormentata storia dell’Egitto contemporaneo attraverso la lente del progressismo democratico e del femminismo radicale. Questa donna, che combatte contro i retaggi patriarcali della società in cui vive, è tuttora un grande esempio per le generazioni presenti e future di donne, egiziane e non.

Fonti: Guardian/enciclopedia delle donne.it

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da greenme

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