Non sappiamo se fossero abili conversatori, forse no, però i Neanderthal avevano il nostro stesso sistema uditivo e quindi forse comunicavano tra di loro come facciamo noi. I risultati di uno studio guidato dall’Universidad de Alcalá di Madrid mostrano infatti come i nostri antenati percepissero i suoni in un modo simile al nostro.
Era un dubbio che “attanagliava” molti archeologi e che per decenni la ricerca ha tentato di dipanare, cercando di ricostruire la capacità dei Neanderthal di emettere suoni e articolarli, ma senza successo. Ora un team di ricercatori ha pensato di agire “al contrario”: non sapendo se la popolazione fosse in grado di parlare, ha cercato di capire se avesse la capacità di udire suoni. Riuscendoci.
Si moltiplicano ormai gli studi sui Neanderthal, i nostri antenati più vicini, ed è ormai chiaro che questi non fossero poi così “primitivi”, non dediti comunque solo a caccia e guerra, ma amanti del mare, della vita rilassata e persino dell’arte.
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Ora sappiamo che, forse, amavano anche chiacchierare e stare in società. Comunque avevano tutte le possibilità di farlo, in quanto possedevano la capacità di percepire e produrre il linguaggio umano.
“Questo è uno degli studi più importanti in cui sono stato coinvolto durante la mia carriera – racconta Rolf Quam, coautore del lavoro – I risultati sono solidi e mostrano chiaramente che i Neanderthal avevano la capacità di percepire e produrre il linguaggio umano. Questa è una delle pochissime linee di ricerca in corso che si sono basate su prove fossili per studiare l’evoluzione del linguaggio, un argomento notoriamente delicato in antropologia”.
L’evoluzione del linguaggio e le capacità linguistiche dei Neanderthal in particolare, è infatti una questione di vecchia data nell’evoluzione umana. Non è il primo tentativo, ma forse l’unico veramente riuscito.
“Per decenni, una delle domande centrali negli studi sull’evoluzione umana è stata se la forma umana di comunicazione, il linguaggio parlato, fosse presente anche in qualsiasi altra specie di antenato umano, in particolare i Neanderthal – spiega Juan Luis Arsuaga, altro coautore – L’ultimo studio ha ricostruito il modo in cui i Neanderthal sentivano parlare per trarre alcune conclusioni su come avrebbero potuto comunicare”.
La ricerca è stata condotta usando tomografia computerizzata ad alta risoluzione per creare modelli 3D virtuali delle strutture dell’orecchio in Homo sapiens e Neanderthal, nonché fossili precedenti presi dal sito di Atapuerca che rappresentano gli antenati dei Neanderthal. I dati raccolti sono stati quindi inseriti in un modello basato su software sviluppato nel campo della bioingegneria uditiva per stimare le capacità uditive fino a 5 kHz, range che comprende la maggior parte della gamma di frequenze dei moderni suoni del linguaggio umano.
Rispetto ai fossili di Atapuerca, i Neanderthal hanno mostrato un udito leggermente migliore tra 4-5 kHz, dimostrandosi particolarmente simili agli umani moderni.
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I ricercatori sono stati in grado anche di calcolare, in ciascuna specie, la gamma di frequenze di maggiore sensibilità, tecnicamente nota come larghezza di banda occupata che è correlata al sistema di comunicazione: una larghezza di banda più ampia consente infatti l’utilizzo di un numero maggiore di segnali acustici facilmente distinguibili nella comunicazione orale di una specie. Questo, a sua volta, migliora l’efficienza della comunicazione e quindi la capacità di fornire un messaggio chiaro nel minor tempo possibile.
I risultati hanno mostrato come i Neanderthal disponessero di una larghezza di banda più ampia rispetto ai loro antenati di Atapuerca, rivelandosi molto più simili a noi dei precedenti e di quanto noi pensassimo fino ad ora.
“Questa è davvero la chiave – annuncia entusiasta Mercedes Conde-Valverde, che ha guidato il lavoro – La presenza di capacità uditive simili, in particolare la larghezza di banda, dimostra che i Neanderthal possedevano un sistema di comunicazione complesso ed efficiente quanto il linguaggio umano moderno”.
Come risultato aggiuntivo, gli esperti hanno dedotto anche che il linguaggio dei nostri più prossimi antenati conteneva un maggior numero di consonanti. Concentrarsi infatti solo sulla capacità di produrre vocali, sostengono gli autori, è un’enfasi fuori luogo, poiché l’uso delle consonanti è un modo per includere più informazioni nel segnale vocale e distingue il linguaggio umano dai modelli di comunicazione di quasi tutti gli altri primati.
Lo studio è stato pubblicato su Nature Ecology and Evolution.
Fonti di riferimento: ScienceDaily / Nature Ecology and Evolution
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