ROMA (ITALPRESS/TraMe&Tech) – Per immaginare il 2021 della tecnologia bisogna fare i conti con Joe Biden. Sempre che Donald Trump non decida di mettere i sacchi di sabbia davanti alla Casa Bianca e barricarsi dentro (cosa davvero da non escludere). Il presidente eletto degli Stati Uniti ha lavorato come avvocato in passato per un’azienda tecnologica, eppure i colossi del suo Paese lo temono. Ecco perchè.
Biden è stato chiaro fin da subito: “Mark Zuckerberg è una minaccia”. Facebook insomma, che il futuro inquilino dello Studio Ovale accusa di non aver fatto nulla per impedire che la vita politica e sociale americana fosse condizionata dalla fake news. E c’è di più: l’antitrust americana pensa che Apple, Google, Alphabet, Amazon e Facebook siano diventate troppo grandi e troppo ricche. Che vadano insomma spacchettate in più aziende. E Biden, su questo, è d’accordo.
Insomma: il potere dei social media, la mancanza di controllo sull’informazione, la ricchezza in mano a troppo pochi, sono un pericolo per la democrazia. Almeno secondo il pensiero dei Democratici. E dunque tocca alla politica riprendere in mano il timone della tecnologia, combattendo lo strapotere delle corporation.
Tutto questo però con delle contraddizioni. Biden ha avuto Eric Schmidt come uno dei principali finanziatori della sua campagna elettorale, ed infatti le sue parole contro le Big Tech mai si sono rivolte direttamente contro Google, di cui Schmidt è ex Ceo. Diverso invece l’atteggiamento nei confronti di Facebook: in una lettera diretta a Mark Zuckerberg, il team del futuro presidente ha denunciato il social come il “principale propagatore” della disinformazione elettorale.
Ovviamente quanto sopra non porterà certo a un arretramento culturale americano. Anzi tutt’altro. Biden ha in programma ingenti investimenti per fare degli Stati Uniti un Paese – a suo dire – più moderno. Con milioni di dollari da spendere per rivitalizzare le infrastrutture, le telecomunicazioni, i trasporti, le costruzioni. Tutti campi in cui l’innovazione è più che essenziale.
Questo insomma farebbe pensare che comincerà un’era ancora più fulgida per le start up, un futuro costruito sul modello Uber. Il cognato della futura vicepresidente Kamala Harris, per dire, si chiama Tony West: è stato il responsabile legale capo proprio dell’azienda che ha stravolto il sistema della mobilità. Ed è stato anche protagonista nel promuovere la Proposition 22 in California, che ha esonerato società come Lyft e Uber dalla necessità di concedere ai loro lavoratori i vantaggi offerti ai dipendenti a tempo pieno.
Un precedente che può aprire il campo a una maggiore libertà per le piccole compagnie tech, non obbligate più ad essere inglobate dalle Big Tech per sopravvivere.
L’atteggiamento della nuova amministrazione americana non cambierà nei confronti della Cina. Cambierà il modo di approcciarsi: si passerà dal modello pugno sul tavolo di Trump, a quello che contempla trattative dure ma sotterranee che ha già diversamente caratterizzato la presidenza Obama. Il presidente ombra del nuovo governo Usa.
E questo dimostra quanto Donald Trump, da imprenditore, avesse capito il vero problema dell’economia americana, negli anni precedenti diventata troppo Cina-dipendente.
Trump non ha fatto altro che rimettere il business Usa al centro colpendo Huawei. Ovvero l’azienda che secondo il suo giudizio (non errato) rappresentava il grimaldello di Pechino per insinuarsi nelle maglie di una superpotenza un pò arretrata nelle sue infrastrutture.
Huawei però rappresenta anche grande tecnologia e dunque la sensazione è che Biden terrà un atteggiamento fermo contro il gigante cinese, cercando però una strada per scendere a patti. Visto quanto il colosso asiatico ha subito in questi mesi il colpo di Trump (si pensi alle vendita di Honor e alle difficoltà per il non poter avere i servizi di Google sui propri smartphone), la strada sembra già ben spianata. Grazie a The Donald.
Insomma: il 2021 della tecnologia passerà sicuramente da Washington. Tra i nomi apparsi nei rumors per un possibile impegno accanto a Biden ci sono lo stesso Eric Schmidt, Matt Olsen (responsabile della fiducia e della sicurezza di Uber), Aneesh Chopra (Chief Technology Officer dell’era Obama), Nicole Wong (ex vice CTO ed di Twitter e Google)
Nonchè anche Divya Kumaraiah e Clare Gallagher (Airbnb), Brandon Belford (Lyft), Meg Whitman (ex CEO di HP e di eBay). E ancora molti altri, neanche fosse la lista del nostrano calciomercato. Qualcuno pensa: il pericolo è tornare indietro. Ma rispetto a quattro anni fa lo scenario tecnologico è molto cambiato e di questo gli Stati Uniti devono dare comunque merito a Trump, qualunque cosa si pensi di lui. Biden potrà andare solo avanti, e il 2021 tech riserverà per questo grandi sorprese.
(ITALPRESS).